Racconto di un viaggio in Costa d’Avorio
(A cura di Gian Pietro Bassani)
“I viaggiatori hanno troppa fretta ai nostri giorni, fretta di arrivare, arrivare a tutti i costi, ma non si arriva soltanto alla fine del cammino. A ogni tappa si arriva da qualche parte, a ogni passo si può scoprire una faccia nascosta del nostro pianeta, basta guardare, desiderare, credere, amare.”
L’idea di poter contribuire alla realizzazione di un progetto, la costruzione di una scuola materna in uno sperduto villaggio nelle foreste dell’ovest della Costa d’Avorio, mi ha spinto a intraprendere questo viaggio, che mi ha riportato, dopo 10 anni, a Bloléquin, dove sono rimasto tre mesi.
Sono stati tre mesi intensi: la fatica della lingua, l’incontro con i funzionari pubblici, molto gentili, ma vaghi e sfuggenti nelle risposte.
Quali le scoperte e i ricordi di questi tre mesi?
Emozione: Adama, un bambino della Pouponnière, i cui spostamenti sono fatti strisciando per terra e che, quando mi vede, alza le braccia per farsi aiutare a camminare; sembra preso da un’ansia di muoversi e andare lontano.
Tristezza: i pianti incessanti dei neonati che hanno fame e chiedono attenzione.
Attività: le suore, che alle cinque del mattino iniziano la loro giornata e quando arrivo per la colazione hanno già percorso chilometri su e giù per la missione (le preghiere, i bambini dell’orfanatrofio, i polli, i maiali, le disposizioni per gli operai, le visite in ospedale, le attività in parrocchia): un frenetico movimento. La missione è un continuo via vai.
Generosità: i gendarmi, che vengono a informarsi del neonato da loro recuperato in un fosso e che portano un sacco di riso da 50 kg e 40.000 Franchi CFA (il salario minimo garantito è pari a 50.000 Franchi CFA).
Attese: il guardiano, che aspetta il ritorno di GbaGbo (l’ex presidente ora in prigione a L’Aia).
Timori: l’ammutinamento dei mercenari, che lamentano il non rispetto degli impegni da parte dell’attuale presidente e allora fermano macchine e autobus, sequestrano i documenti e, se vuoi continuare, devi pagare l’obolo.
Gioia: la Galilea, la festa del lunedì di Pasqua (“E’ risorto, vi precede in Galilea”) con pranzi, giochi e balli. La messa al villaggio con balli e danze alla comunione
Preoccupazione: l’arrivo degli orfani. Improvviso e sempre di sera, all’ora di andare a letto – in tre mesi è successo quattro volte.
Speranza: le file interminabili di ragazzi e ragazze che tornano a casa da scuola al termine delle lezioni.
Paure: il capo villaggio il quale, superati i primi momenti di diffidenza, commenta, triste e stanco, la situazione politica della zona dicendo “abbiamo deposto le armi, ma i nostri cuori sono ancora armati”, prevedendo giorni tristi.
Dubbi: père Gilbert, il parroco, molto scettico sull’attuale situazione, che cerca di tenere unita una comunità dove convivono Gueré (i locali) e i Mossi (gli intrusi, molti dei quali sono venuti dal Burkina al seguito dell’attuale presidente) e altre etnie. Il direttore di una scuola, che alla mia domanda “La situazione mi pare abbastanza tranquilla”, mi risponde secco: “Gian Pietro, chi ha vinto comanda e si arricchisce, che ha perso sta sottomesso e aspetta”.
Frustrazione: il ragazzo che, tornato da Abidjan dove era rimasto una decina di giorni per un corso, ritrova il suo appezzamento di terreno venduto. Situazione capitata anche alla missione.
Allegria: i bambini della pouponnière che scorrazzano, gridando e ridendo; Gilbert che ti si attacca alle gambe e non ti molla.
Nei ricordi vive anche Michelangelo, il pittore-imbianchino che passava ore a rimirare la parete bianca o a parlare al cellulare.
Questo è il mio viaggio, che continua anche adesso che sono a Muggiano, perché, come sostiene Kapuscinski in “In viaggio con Erodoto”: “un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà inizia molto prima e praticamente non finisce mai, dato che il nastro della memoria continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati.”
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Appuntamento con l’evento di Gianpietro Bassani UN PROGETTO PER CRESCERE :